- 11 Ottobre 2024
- Posted by: Francesco Piccone
- Categoria: Attività Sportiva, Servizi alle ASD
Purtroppo le cronache, con una certa frequenza, riportano episodi di molestie e violenze sessuali commesse in palestre, campi di calcio e piscine, da allenatori che invece di essere solide figure di riferimento educativo e non solo tecnico per i giovani atleti , ai quali sono affidati con fiducia dalle famiglie, si dimostrano persone tutt’altro che irreprensibili.
Anche, ma non solo per questo, il legislatore nella riforma del 2021, in gran parte ancora da attuare in modo organico e concreto, prevede che ogni società sportiva presenti un modello di organizzazione ,gestione e controllo( l’acronimo è Mog) di abusi e discriminazioni sessuali, etnia, religione, disabilità, provenienza geografica, genere, bullismo, cyberbullismo e negligenza, soprattutto nei confronti dei minori.
Come spesso avviene in Italia ,Paese sostanzialmente fondato su proroghe e cavilli, le scadenze sono concetti poco più che virtuali: il termine per ufficializzare il Mog era fine agosto ,in pochi hanno già adempiuto a questo obbligo.
“Come al solito si passa da un’assenza totale, anche dal punto di vista culturale rispetto a certi temi, ad una inflazione di regole, anche un po’ lontane dalla realtà e dalla difficile applicabilità. A pagare le conseguenze- dice Enrico Carmagnani Presidente CSI di Genova– di queste eccessive incombenze burocratiche sono le società più piccole, non solo dal punto di vista economico. Per fare un esempio concreto se un genitore arriva in ritardo a prendere un bambino in un impianto sportivo a fine allenamento l’istruttore non può restare da solo con il minore. E’ molto difficoltoso poi gestire spazi separati in modo rigoroso fra under 18 ed adulti o trovarne di specifici per persone che non si riconoscono né nel genere maschile né in quello femminile”.
Da una recente indagine di Nielsen emerge che quattro atleti su dieci In Italia sono stati vittime di abusi quando erano ancora minorenni.
La ricerca, commissionata da ChangeTheGame, con il contributo del Dipartimento dello Sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, evidenzia che la forma più diffusa di violenza è quella psicologica(30.4% ),che mina la persona nell’animo ,chiedendo prestazioni irrealisticamente elevate, umiliando ed escludendo l’ atleta, fino a minacce, offese verbali, body shaming e marginalizzazione.
La seconda forma di violenza più diffusa è quella fisica( 18.6% )che può compromettere la salute degli atleti obbligandoli a gareggiare anche se sono infortunati oppure infliggendo loro pesanti esercizi.
Al terzo posto la negligenza(14.5%) con le donne che la subiscono molto più dei maschi: vengono obbligate ad esempio a praticare sport non in condizioni di sicurezza, e troppe volte si riscontra la totale assenza di supporto per i loro bisogni specifici fisici e fisiologici.
Dall’indagine emerge infine che il 13.7% dei minori che fanno sport ha subito violenze sessuali .
Un altro dato interessante della ricerca di Nielsen è che i responsabili di abusi, violenze e prevaricazioni sui ragazzi sono in maggioranza i compagni di squadra mentre per le ragazze personale sportivo ed allenatori.
Per attuare il Mog le società sportive devono individuare, entro il 31 dicembre 2024,una nuova figura per prevenire casi di abusi e discriminazioni, un responsabile safeguarding.
Il suo compito è quello di raccogliere eventuali segnalazioni, verificarne la veridicità ed eventualmente trasmetterli agli organi di giustizia sportiva ed ordinaria.
“ Il CSI è da tempo sensibile su questi argomenti a livello nazionale. A Genova- sottolinea il presidente Enrico Carmagnani- da due anni affianca le ASD per affrontare le nuove incombenze burocratiche della riforma dello sport ,non solo con consulenze e seminari, ma anche organizzando corsi specifici di formazione su pedagogia, gestione delle crisi, capacità di ascolto, comunicazione attiva. Il comitato regionale sta per aprire un vero e proprio sportello informativo che sarà a disposizione dei comitati territoriali e delle società”.
La norma prevede che il responsabile safeguarding sia una figura competente, integerrima, autonoma, indipendente dall’organigramma sociale: rientrando nel mansionario del lavoro sportivo può essere retribuito, qualche società più strutturata si rivolge ad ed esempio ad avvocati o professionisti del settore, ma è consentito anche che svolga il proprio compito in modo volontario.